Con economia della felicità si intendono tutti
quegli studi che tentano di comprendere quali siano le cause
economiche del benessere delle persone: lavoro, reddito, modello
di consumo. Studi che si stanno rivelando, oltre che originali nelle
loro conclusioni, anche potenzialmente utili per la definizione
della politica economica delle nazioni.
Con politica economica si intendono gli interventi dello Stato volti
ad indirizzare l’economia di un paese verso obbiettivi prefissati.
In assenza di dati empirici che permettano di definire le preferenze
dei cittadini, l’unico modo per definire queste preferenze risiede
nella visione antropologica delle forze politiche al potere. Così è
stato per moltissimo tempo, ma adesso sono disponibili metodi di
rilevazione e dati sulla felicità delle persone e sulle sue
cause. E questo ha dato un forte stimolo agli studi sulla felicità,
anche in ottica di politica economica.
Tra le principali evidenze emerse da questi studi, ci sono
l’importanza dell’istruzione come fattore di felicità e non
solo come capacità professionale e di reddito acquisite a scuola, ma
come capacità di stare al mondo in maniera soddisfacente e
appagante. Di grande importanza anche la salute e i beni
relazionali, intesi come tempo impiegato nelle relazioni
primarie - amici e famiglia - e qualità delle stesse.
Importanti per la felicità sono anche il grado di sviluppo della
democrazia nel paese in cui si vive e, curiosamente, l’età:
con l’avanzare degli anni aumenterebbe la capacità di gestire le
emozioni e questo avrebbe un effetto positivo sul benessere
psicofisico.
Effetto negativo sulla felicità avrebbero disoccupazione e
inflazione.
Più complesso l’effetto del reddito. Gli economisti hanno
sempre ipotizzato una relazione positiva tra reddito e felicità,
dove però a successivi incrementi di reddito dello stesso ammontare
corrispondono incrementi di felicità/soddisfazione via via
decrescenti. Secondo gli studi più recenti, a questo “meccanismo” se
ne aggiungerebbero altri due, uno psicologico e uno sociologico.
La prima potremmo chiamarla sindrome del voler sempre di più:
una volta raggiunto un certo livello di reddito, le persone
alzerebbero i loro obbiettivi, svalutando così quanto raggiunto. La
seconda è la sindrome del confronto, o dell’invidia: non
sarebbe cioè così importante il reddito raggiunto in quanto tale, ma
il proprio reddito in rapporto a quello delle persone con cui la
persona si relaziona normalmente. Così, pur avendo un reddito alto
in termini assoluti, questo non porterebbe la soddisfazione che
potrebbe se nel gruppo sociale di riferimento ci fossero molte
persone con redditi superiori.
Più chiaro invece l’effetto del reddito nazionale: non
presenta le complessità appena viste per quello personale, ed è
spesso direttamente collegabile all’accesso a servizi come
istruzione e qualità, che abbiamo visto collegati in maniera
significativa alla felicità.
Nei video che seguono il Professor Leonardo Becchetti, uno dei
maggiori esperti italiani in questo campo di studi, spiega
l’economia della felicità. E non solo...