di Franco Rosso*
La Carta d’Intenti
dei progressisti, dietro gli
equilibrismi, nasconde un
inganno. Chi vota per le
primarie del Pd deve
sottoscrivere la fedeltà ai
trattati europei, quelli che
stanno massacrando i diritti
sociali e la democrazia.
L’Europa,
per precisione si dovrebbe
parlare di Unione Europea, è in
testa alla Carta e ne
costituisce il primo capitolo a
segnalare che l’UE dai
progressisti è vissuta come
attiva protagonista delle
politiche nazionali; anzi, per
quanto riguarda i paesi cd
periferici è divenuta
incontrastata padrona delle
scelte di governo, economiche,
sociali.
Matteo Renzi dice che la Carta
d’Intenti è generica dunque poco
significativa; Bruno Tabacci,
nell’annunciare di non volerla
sottoscrivere, ne denuncia le
omissioni: il mancato
riferimento all’agenda Monti e
alle
liberalizzazioni-privatizzazioni.
Volendo anticiparlo, il mio
giudizio è che la Carta è un
continuo gioco di equilibrismi
verbali, con lo scopo di
consentire ai contraenti del
patto di riconoscere la propria
impronta così poter affermare in
pubblico la propria incidenza
nella sua stesura.
Valga qualche esempio di questo
‘equilibrismo verbale’: ‘… noi
siamo l’Europa … le sorti
dell’integrazione politica
coincidono largamente con il
nostro destino’. È
un’affermazione di fedeltà
all’UE e alle sue istituzioni
sovranazionali, dunque si
accetta la ‘supremazia’ delle UE
nella definizione delle
politiche nazionali, tanto che
si enfatizza che nulla si può
fare senza l’Europa (non UE
bensì ‘Europa’ come se i 27
assorbissero l’intero
continente). Per questo si
chiede di accelerare
l’integrazione politica,
economica e fiscale.
Qui sorge subito una domanda:
gli obiettivi dell’integrazione
sono quelle del Rapporto di
giugno di van Rompuy, tradotto
in un primo schema il 10
ottobre, in cui si parla di
unione bancaria e di
sorveglianza bancaria affidata
alla BCE, di regole di bilancio
comune secondo le procedure del
Semestre Europeo, del Fiscal
Compact e del Six Pack? Oppure
si vogliono altre procedure per
impedire che, oltre al potere
monetario affidato alla BCE,
anche il potere fiscale, le
decisioni sulle entrate e le
spese (insomma sulle politiche
del bilancio pubblico), siano
devolute a organismi
sovranazionali intergovernativi
e tecnocratici?
Chi ha redatto la Carta ha
presente che con le procedure
del Semestre europeo, del Fiscal
Compact e del Six Pack il potere
di bilancio è stato sottratto
alle rappresentanze parlamentari
nazionali e al Parlamento
europeo?
La fine dello Stato assolutista
significò attribuire il potere
fiscale alla rappresentanza
parlamentare, ora l’UE lo
riaffida a un sovrano
sovranazionale non legittimato
né da Dio, né dagli uomini e
dalle donne.
I progressisti, nel voler
fondare democraticamente l’UE,
intendono rinegoziare questo
insieme di Trattati e procedure,
oppure genericamente parlano di
‘rinegoziazione’, senza
specificare cosa, come e quando?
Ecco questo è un altro esempio
di equilibrismo verbale: non si
assumono impegni specifici.
Ancora. L’euro, la moneta unica
‘ha tradito le aspettative’:
quali? Si poteva sperare in
esiti diversi dagli attuali
affidando alla BCE la gestione
della politica monetaria in
forme completamenti indipendenti
dalle istituzioni
rappresentative (e finanche
comunitarie)?
L’indipendenza della BCE è la
forma istituzionale che
garantisce l’obiettivo della
stabilità dei prezzi e del
ripudio delle politiche
anticicliche, aggettivate tutte
come inflattive. L’indipendenza
della BCE è il presupposto,
d’altra parte, anche del
controllo delle politiche
fiscali nazionali, per impedire
che queste minaccino la
stabilità monetaria.
Allora l’altra domanda: si vuole
‘rinegoziare’ l’indipendenza
della BCE per condurre la moneta
nell’ambito delle decisioni
democratiche, così da superare
il suo impianto politico
neoliberista?
La vexata quaestio, che ha
animato il dibattito politico
nazionale, è la proposta di un
patto tra le principali famiglie
politiche europee per giungere a
istituzioni legittimate
democraticamente a cui affidare
il coordinamento delle politiche
di bilancio nazionali.
Intanto un chiarimento: le
principali famiglie politiche
europee, oltre al PSE, sono i
liberali, il PPE, i Verdi, il
GUE. Con quali di queste
famiglie si vuole dialogare? La
risposta è netta: con il centro
liberale. Il dialogo è
finalizzato a una ‘legislatura
costituente’ del PE che sarà
eletto nel 2014. Si andrà alle
elezioni sulla base di proposte
di ‘costituzione europea’ in
modo da affidare un mandato
popolare al PE?
Oppure, si sottoporrà il frutto
della ‘legislatura costituente’
a referendum europeo?
Insomma i/le cittadini/e europee
saranno chiamati/e a decidere
sul ‘proprio destino’, oppure
saranno le ‘famiglie politiche
europee’ a decidere?
‘Legislatura costituente’
significherà assemblare i
Trattati, come è stato fatto con
il cd Trattato costituzionale
bocciato dal voto referendario
del 2005 in Francia e Olanda, o
fondare democraticamente l’UE,
che finora si è affidata nella
sua costruzione istituzionale al
metodo funzionalistico che ha al
centro il mercato unico?
Si vuole mettere in discussione
il mercato unico, obiettivo
sovradeterminante dell’UE,
oppure si vuole fare della
retorica sostenendo che al
mercato va ‘aggiunta un po’
d’equità’ secondo
l’inconfondibile modo di parlare
di Bersani?
Il mercato unico ha rovesciato i
valori delle Carte del Secondo
dopoguerra che hanno fondato la
democrazia costituzionale, in
cui i diritti – politici,
sociali, individuali e
collettivi – hanno la primazia.
Quando si parla di legislatura
costituente si vuole dire che
l’UE deve basarsi su quei
diritti oppure si tratta di
‘mettere un po’ di soldi in
tasca alla gente (un altro
esempio di esercizio retorico à
la Bersani)’?
Peraltro anche per l’Italia, nel
capitolo dedicato alla
Democrazia, si parla di
‘legislatura costituente’. Qui
la sgrammaticatura democratica è
palese, e ripeterà le disastrose
esperienze delle Bicamerali, di
De Mita-Jotti e D’Alema.
Non ci si ricorda che esiste
l’articolo 138 della
Costituzione che disciplina il
potere di revisione che è un
potere costituito, e non
costituente perché non si può
infrangere il nucleo della
Costituzione del ’48. Il potere
di revisione si esercita con
interventi mirati e non
onnicomprensivi di intere Parti.
Strano che chi è aduso a
geroglifici oratori sui media,
quando si tratta di scrivere
‘nero su bianco’ intorno a
questioni come la Costituzione
divenga approssimato. Oppure, si
vuole davvero che il prossimo
Parlamento italiano realizzi
anche su scala nazionale le
istituzioni della governance
europea, che sono la via di fuga
dalla democrazia dato che
concentrano in un’oligarchia il
potere decisionale?
Non voglio sottacere un ‘cattivo
pensiero’: le proposizioni
sull’UE sono abbastanza
generiche per assicurare le
varie componenti della
coalizione, lo sono abbastanza
per rassicurare i mercati e la
tecnocrazia di Bruxelles? O
l’equilibrismo verbale sarà
fatale?
* Comitato No Debito
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Carlo Anibaldi